Robert Mapplethorpe

Robert Mapplethorpe

mercoledì 19 gennaio 2011

Cosa ne è dell’artista nell’epoca del visivo?

Ho studiato Filosofia Estetica recentemente. Era una materia che avevo amato in Statale e chi mi ha stimolata e appassionata come non mai in Bicocca. Ho letto, tra gli altri, lo splendido saggio di Debray "Vita e morte dell'immagine" e ho iniziato a riflettere. In particolare mi tormenta una domanda:

Cosa ne è dell’artista nell’epoca del visivo?

Anzitutto chiariamoci sui termini. Régis Debray ha ipotizzato che l’era dell’arte sia finita intorno al 1960, quando fu introdotta la tv a colori. E proprio la tv a colori ha avuto il potere di farci entrare in una nuova mediasfera, quella del visivo. Perché? Debray risponde che con l’introduzione della tv, l’immagine entra a casa di ognuno di noi e il colore la rende straordinariamente mimetica.

L’opera d’arte, già a partire dall’avvento della fotografia, nel lontano 1839, iniziò a sentirsi minacciata, accerchiata. Aveva perso la sua Aura, sosteneva Benjamin, e con questa il suo senso del sacro, il potere di generare il timore e il tremore.

A partire da questi due semplici esempi si possono fare due riflessioni.

L’arte è sempre data per morta. Debray stesso raccoglie nel suo “Vita e morte dell’immagine” numerose citazioni che annunciano, fin dalle epoche più remote, che l’arte è finita, che è già stato tutto fatto. Parlando solo degli ultimi due secoli, abbiamo almeno tre date fondamentali in cui vi è stato il funebre annuncio. Il 18 agosto 1839 si rende pubblica l’invenzione di un “nuovo strumento per lo studio della natura”, la fotografia. Delaroche, pittore di battaglie, esce dalla seduta esclamando “A partire da oggi la pittura è morta”. Nel 1935 Benjamin ipotizza la scomparsa dell’artista nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Debray non si limita ad ipotizzare ma traccia un confine: a partire dagli anni ’60 l’epoca, l’era, la mediasfera dell’arte è finita. Siamo nel tempo del visivo, ora. Ho trovato la lettura del saggio di Debray illuminante. Ma non si può negare che le cose siano nuovamente cambiate dopo la rivoluzione del web 2.0 datata autunno 2001.

La seconda riflessione nasce proprio da questo presupposto. Abbiamo già cambiato mediasfera? Secondo me siamo più che mai nell’epoca del visivo. Quello che la televisione aveva solo anticipato sta avvenendo ora, sotto i nostri occhi, grazie ai nostri computer. La tv permette a un volume d’immagini impensabile fino a pochi decenni fa di entrare in casa nostra. Ognuno, grazie alla tv, può avere il suo quarto d’ora di celebrità. Ma, c’è un gigantesco ma. La programmazione televisiva non la decidono gli utenti. Comprarsi uno spazio pubblicitario ha costi elevatissimi. Farsi invitare come ospite in una trasmissione, soprattutto se di buon livello culturale, non è affatto semplice.
Il computer in generale, e la rivoluzione 2.0 in particolare, ha invece rappresentato la democratizzazione assoluta del sapere e dell’immagine. La banda larga ha permesso di caricare e condividere ogni tipo di contenuti: filmini di cerimonie, foto delle vacanze, diari e racconti, musica. Ma, soprattutto disegni, quadri, fotografie, video. Come distinguere ciò che è artistico da ciò che non lo è più? Debray si chiede pensando all’orinatoio e al ready-made: “Cosa rimane dell’arte in un mondo in cui tutto è arte?”. Io mi faccio la stessa domanda aprendo facebook, myspace, flickr, youtube. Siamo tutti artisti. A partire dai quindici anni, un’intera generazione ha caricato su internet poesiole, fotografie, disegni ecc(vedi elenco precedente). Siamo davvero tutti artisti? La risposta ovviamente è no. L’era del visivo ha probabilmente acuito le nostre possibilità estetiche. Diventeremo quasi sicuramente ottimi fruitori, esigenti e informati.

Cosa ne rimane dunque dell’artista? È destinato a scomparire? Secondo me no. Parlando con chi lavora nel settore sono giunta a una conclusione diversa. L’artista, se vuole essere tale, deve professionalizzarsi. Non basta caricare le proprie opere su internet, questo lo fanno tutti. Non basta avere un giro di due o tre acquirenti, questo capita a molti. Non basta fare una mostra ogni tanto, se mal indirizzata e mal promossa può rappresentare una semplice perdita di denaro. L’artista ora come ora, per sopravvivere, deve aggiornarsi, essere in formazione permanente, conoscere il mercato dell’arte, entrare in contatto con chi ancora si occupa di promuovere l’arte sul campo. Non basta il web. È facile, veloce, gratuito, ma non basta. Ogni artista nutre la speranza di essere “scoperto”. Un tempo magari bastava fare una fiera, una mostra, frequentare atelier. Ma come si può essere scoperti adesso, quando ci sono migliaia e migliaia di nuovi contenuti caricati in rete ogni giorno?

(C)